CAMPO BASE, il manifesto progettuale italiano

La progettualità comune per praticare l’architettura condivisa

Campo Base è un’utopia progettuale che vede coinvolti sei studi di progettazione italiani in un esercizio di pratica architettonica condivisa.

Utopia progettuale resa ancor più tale dal contesto frenetico del Fuorisalone, all’interno del quale si pone come un momento di pausa, di riflessione, di calma.
Perché Campo Base è un manifesto sull’architettura degli interni contemporanea autoprodotto e autogestito da sei studi di architettura presenti sul suolo italiano: Massimo Adario (Roma), Giuliano Andrea dell’Uva (Napoli), Eligostudio (Milano), Marcante-Testa (Torino), Hannes Peer (Milano) e Studiopepe (Milano).
Come una sorta di contemporaneo consorzio architettonico, Campo Base è stato una palestra di collettività progettuale in cui gli studi si sono confrontati sul difficile tema di essere individui e società al contempo.

Tra i vari main partner spicca Èlitis, che ha collaborato con i 6 designer come editor ufficiale di tessuti e rivestimenti murali.
Campo Base è un non luogo ipotetico in cui esplorare il concetto di intimità domestica attraverso le riflessioni di sei studi di progettazione uniti dalla sfidante volontà di cimentarsi in un esercizio di progettazione condivisa.
Campo Base è un villaggio. È un accampamento. È una micro comunità architettonica all’interno della quale agli asciutti spazi condivisi fa da sponda la diversità progettuale degli ambienti individuali, volti ad esplorare il concetto di intimità domestica. E sarà proprio varcando gli ingressi nascosti nelle pieghe dell’allestimento comune, come in uno spartiacque tra il nostro essere nel mondo ed il nostro essere domestico, che saremo all’interno dei singoli universi.
In occasione della Milano Design Week 2023 nasce Campo Base: un manifesto sull’interior firmato da sei studi di architettura italiani e curato da Federica Sala

C’è chi, come Massimo Adario, ha interpretato il concetto di intimità realizzando la stanza de “Il Collezionista”, un ambiente astratto ma accogliente, in cui sentire il fluire del tempo meteorologico tra una selezione di oggetti specchio della personalità di chi li ha collezionati.

Ma anche chi, come Marcante-Testa ha pensato, all’opposto, a uno spazio eterotopico in cui arredi e spazi fossero svuotati e ricontestualizzati per ritrovare una nuova ritualità, diventando dei dispositivi di protezione della nostra intimità.
L’intimità per Hannes Peer è uno spazio metafisico ma al contempo ultra fisico, in cui riecheggia l’atmosfera di atelier d’artisti passati, come quello di Monet a Giverny o di Costantin Brancusi a Parigi. “Atelier des Nymphéas” è un viaggio temporale che rende manifesto l’atto stesso del creare, aprendo al pubblico il lato personale della pittura scaturita dal progettista stesso.

“Omaggio a Renzo Mongiardino” è invece il progetto di Eligostudio che mette al centro il valore della convivialità domestica come supremo momento di intimità. Un’architettura effimera che gioca sull’illusione, così come le opere dell’artista Lorenzo Vitturi che la abitano.
Mentre il progetto di Studiopepe, “Omphalos” ovvero l’ombelico in greco antico, ci avvolge come una “pelle psichica” custodendo la nostra intimità e difendendoci allo stesso tempo dall’esterno grazie ad un insieme di elementi archetipici.

Ad interrogarsi invece sulla possibilità di abitare un vuoto, uno spazio senza una funzione, è Giuliano Andrea dell’Uva che con “Ammonite” crea uno spazio unico in cui architettura e arredi sono un percorso lento d’iniziazione al valore dell’intimità.

Sei progetti da scoprire avventurandosi nel percorso dell’allestimento comune, sorta di placenta tessile all’interno della quale tutti gli studi convivono, ognuno con le sue differenze. Un tunnel tessile quindi, reso possibile grazie alla collaborazione con Elitis, che ci accompagna in un universo ovattato, in un temporaneo labirinto percettivo in cui lasciarci andare alla scoperta del concetto d’intimità interpretato dagli studi.
In sottofondo, un tappeto olfattivo ci evoca il ricordo del fuoco diventando simbolo non manifesto di un’intimità condivisa dalla collettività, e un’installazione sonora, a cura dell’artista Norma Jeane, utilizza la tecnologia audio ASMR (autonomous sensory meridian response) per creare uno stato di spaesamento spaziale e sensoriale. In accordo con il concetto di allestimento dello spazio espositivo, la sonorizzazione dal vivo dell’ambiente centrale isola e riproduce suoni familiari in un contesto astratto, quasi metafisico.

Intimo/esteriore, pubblico/privato, monumentale/domestico, fittizio/autentico sono alcune delle molte antinomie evocate dall’installazione.

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